Fino a qualche anno fa si riteneva che la fotosintesi clorofilliana, che noi tutti conosciamo, fosse un processo chimico-biologico riservato esclusivamente al mondo vegetale, ma in realtà non è proprio così o almeno non lo è più dopo una serie di recenti scoperte come quella del comportamento singolare di alcune lumache marine appartenenti al genere Elysia. Pensate che queste specie riescono a sopravvivere addirittura per 10 mesi senza doversi necessariamente alimentare.
Strano ma vero, questo accade perché la loro dieta è composta prevalentemente di alghe attraverso le quali esse assumono i cloroplasti che le conferiscono una colorazione verde e, soprattutto, la capacità di effettuare in parte la fotosintesi. In altre parole si viene così a formare una sorta di chimera tra un animale e una pianta.
Questo mollusco, appartenente alla classe Gastropoda, per nutrirsi perfora con la radula (lingua con piccoli dentini) le cellule delle alghe e ne succhia il contenuto che viene ingerito per poi finire nel tratto digerente che è opportunamente ramificato in modo da essere esteso a quasi tutto il corpo dell’animale. Il citoplasma e gli altri organelli cellulari vengono digeriti, ma i cloroplasti subiscono un ben più interessante e differente destino: vengono inglobati dentro speciali cellule diffuse nel tratto digestivo della lumaca, principalmente all’estremità delle convoluzioni intestinali, e lì continuano a sopravvivere e funzionare.
I cloroplasti sono gli organelli deputati a svolgere la fotosintesi, che in pratica è quel processo che cattura l’anidride carbonica dell’aria e la converte nello zucchero semplice glucosio, con rilascio di ossigeno come materiale di scarto.
La foto che vi propongo appartiene a una di queste specie e precisamente ad Elysia crispata. Come potete notare, la forma del suo corpo si è allargata e appiattita e la superficie dorsale è semitrasparente per consentire la penetrazione dei raggi solari.